Qualche tempo fa... una lezione 



Tic, tic, tic. 
“Dai sbrigati”. 
Non è che abbia fretta, ma che mi son stufato. Le cuffiette mandano una canzone che non mi distrae e la fatica si sta facendo sentire. 
Il cronometro trilla. Finalmente. Un respiro di sollievo e mi getto sul materassino. L’istruttore sale dalle scale, punta verso la porta alle mie spalle. 
Faccio per alzarmi. Sono immerso nel mio mondo, il cantante chiacchiera la sua nenia, sempre senza stupirmi. 
Mi alzo e prendo l’asciugamano, se ne stava tutto storto e mezzo piegato. Sento tamburellarmi alla schiena, mi giro e sorrido. L’istruttore ce l’ha con me e ha un’espressione seria, ma ho le cuffie alle orecchie e non sento. Lui abbaia qualcosa, io non lo capisco. Tocco l’auricolare e metto fine allo strazio del cantante. Guardo l’istruttore con aria interrogativa. 
“Vedi di tenere l’asciugamano in ordine” mi fa “inutile che stiamo a pulire coi disinfettanti se poi fate come vi pare”. 
È piuttosto aggressivo, sicuramente sgarbato. 
“Certo” dico. Lui se ne va stizzito, torna al piano di sotto. Io invece mi piego a fare le pulizie di rito del post-covid, spruzzino e carta alla mano. Rifletto un momento e mi stupisco. Il mio asciugamano era solo un po’ piegato. Possibile che la cosa lo avesse turbato tanto? Che poi… boh, ne ho viste di peggiori di infrazioni alla regola. 
Do una seconda possibilità al cantante, sebbene so già che il mio giudizio non muterà. Scendendo le scale mi viene in mente che l’istruttore era salito solamente per cazziarmi, almeno, una volta salito non aveva fatto altro. È strano. 
Al piano di sotto tutto procede normalmente. L’istruttore si è calmato, chiacchiera disteso con un energumeno attempato, sudato e… seduto su un attrezzo senza asciugamano alcuno. 
Guardo la scena e aggrotto le sopracciglia. Non capisco. Preparo la panca per la prossima serie. Sistemo l’asciugamano, come sempre. Ancora rifletto. Mi vedo allo specchio. Ho un’espressione buffa. Che non mi tornino i conti è evidente. La “poker face” non so neppure cosa sia. Al braccio, oltre la maglietta, noto fare capolino il sensore dello strumento che sto testando. Misura la glicemia in continuo e devo capire bene come funzioni prima di farlo gestire da altri al lavoro. Chiederanno a me “come faccio se…” o “come si fa a…”, quindi devo conoscerlo a menadito e il modo più rapido per centrare l’obiettivo è fare io stesso da cavia. 
A un certo punto l’illuminazione: se fosse lui la causa del mio esser stato cazziato? Eravamo in pochi nella sala al piano di sopra, e prima dell’arrivo dell’istruttore ero rimasto solo, da poco. Che qualcuno sia sceso allertando l’istruttore del “malato” che non utilizzava bene l’asciugamano? L’istruttore è salito per me, poi è tornato alle sue chiacchiere. 
Non posso esserne certo, ma almeno posso dire di esserne convinto. Qualcuno ha avuto paura di qualcosa che non conosceva. La reazione non è stata capire, no. L’azione era volta a una soluzione semplice: sbarazzarsi di ciò che è strano, allontanare, se possibile far sparire. La mia lezione sulla discriminazione.  

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